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Gianni Moneta - 1984

Heinz von Cramer - 2000

Herbert Pagani - 1976

Paolo Rizzi - 1990

Pubblio Dal Soglio - 1987

Toni Kienlechner - 1984

Toni Kienlechner - 1986

Toni Kienlechner - 1988

Testimonianze visitatori - 1990

Testimonianze visitatori - 1991

Paolo Rizzi ha scritto di lui nel 1990

«Tutto quello che ho visto, l'ho disegnato«, ha scritto Goethe durante il suo viaggio in Italia. Tale era, appunto, la sua «golosità» di vedere. Qualcosa di simile deve essere successo a Heinz J. Düll. Questo pittore di origine cecoslovacca e di formazione tedesca, spirito umanisticamente curioso, s'è così innamorato della campagna romana da stabilirvisi. Ha seguito, cioè, le orme di tanti nordici attirati in Italia dal fascino culturale: dalla ricerca di un clima imbevuto di classicismo e di mitologia. Quel che contraddistingue Düll - lo si può dire oggi, nella misura dilatata del tempo - è la sua capacità di inserire il suo spirito nordico (direi gotico) nella dimensione del paesaggio italiano.

Ciò appare subito lampante la linea, anche quando ritrae oggetti ravvicinati, segue un suo rovello secco, una sua tensione espressiva: dietro di essa si intravede un fantasma nordico. Del pari il colore: esso tende alle tinte acide, si dissolve nel pulviscolo con sensazioni di lontananze profonde, di sfumature. Una sorta di lievito simbolistico pervade la composizione: si tratti di nature morte, di paesaggi o di allegorie con figure. Talora si nota quasi una strasposizione allusiva, una ambiguità, persino un antropomorfismo. Reminiscenze gotiche si fondono con dilatazioni leonardesche: cosicchè due culture apparentemente opposte - appunto la gotica tedesca e la rinascimentale italiana - paiono fondersi fin quasi al limite di una suggestiva ambiguità esistenziale. Tutto questo reca una sorta di disagio, di spaesamento psicologico.

La tensione verso il Sublime romantico quasi si gonfia, assume parvenze e riferimenti strani, immaganti. Le «citazioni» (ad esempio la Santa Teresa del Bernini, le pietre di Bomarzo) si caricano di significati misteriosi, ora di origine spiritualistica, ora di fondo erotico. Tale sensazione rientra, appunto, in quel dualismo culturale in cui l'estetica di Düll è immersa. Il percorso è lo stesso, mutatis mutandis, di un Dürer che scopre la classicità italiana ma rimane nello spirito teutonico del suo goticismo categoriale. Chiaro che Düll aggiunge tutta una cultura che è soprattutto quella del Manierismo; e non si perita di veleggiare vicino alle rischiose coste del Surrealismo. è un viaggio avventuroso, che il timoniere compie con consumata perizia, resistendo alle seduzioni delle troppe Sirene. Il risultato è quello di una pittura e di un disegno che, pur avvolti nei veli culturali, conservano una propria autonomia, una qualità espressiva sempre vibrante.

Piacciono soprattutto certe vedute evanescenti, a carattere romantico, in cui il segno resta inconfondibilmente spiritato; oppure certi acquarelli in cui l'oggetto (può essere lo sfondo di Orvieto o il profilo del lago di Bolsena, o magari il sorriso stranito d'una donna) si stravolge, diventa rovello (psicologico, magma psichico. E questo modo di «stravedere» che incanta. Ecco la stupefatta magia del nordico che allarga lo sguardo al paesaggio (e alla cultura) dell'Italia: tutto acquista una dimensione sospesa, una spinta all'emulsione dei sentimenti, al fantasma onirico. E la visione diventa onirica: fuga verso un'Utopia che sfianca e inebria lo spirito.

Venezia, Aprile 1990

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